Nelle ipotesi di contestazione della responsabilità derivante da un reato commesso da persone fisiche che non rivestono un ruolo formale nell’ente, deve essere accertato il concreto esercizio del potere di gestione e controllo “di fatto”, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 231/2001.
La Cassazione, con la Sentenza n. 3211/2024, affronta il tema dei cd. “Apicali di fatto”, accogliendo il ricorso di una società a cui era stato contestato il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico, attribuito a soggetti che al momento dei fatti non erano parte dell’organico.
Nel caso di specie, la responsabilità dell’ente è stata correlata – dal giudice di merito – a condotte illecite poste in essere dagli imputati prima che gli stessi entrassero a far parte dell’organico della Società, senza accertare, con esiti compiutamente motivati, la possibilità di considerare i soggetti agenti, “persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente”, in virtù dell’art. 5, lett. a), ultima parte, del D.Lgs. n. 231 del 2001.
Nello specifico, la Suprema Corte precisa che, come evidente dall’utilizzo della locuzione congiuntiva “e” da parte del Legislatore, rientrano tra i cd. Apicali di fatto i soggetti che esercitano tanto la gestione quanto il controllo dell’ente, mediante «un’attività di “controllo” e di vigilanza o, comunque, di verifica ed incidenza nella realtà economico patrimoniale della società».
Nello specifico, pertanto, i soggetti che hanno compiuto l’accesso abusivo non risulterebbero essere né dipendenti né apicali di fatto.
La Suprema Corte rileva inoltre – a titolo esemplificativo – anche che la Società possa essere chiamata a rispondere – ove il reato sia stato commesso nel suo interesse o vantaggio – anche per i reati commessi ad esempio dai componenti formali del collegio sindacale, solo nel caso in cui gli stessi in concreto svolgano, come attestato dalla ricorrenza degli indici disvelatori della qualifica ex art. 2639 cod. civ., anche il ruolo di apicali di fatto dell’ente.
Viene infine precisato che a fronte della commissione di reati nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetti che rivestano all’interno della stessa in via di fatto ruoli di gestione e controllo, non possa operare, per elidere la responsabilità dell’ente medesimo, la scriminante specifica dettata dall’art. 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001, in considerazione del fatto che la Società non si sarebbe – in tal caso – dotata di modelli organizzativi adeguati per la prevenzione dei reati.